ORFEO ALL’INFERNO

ORFEO ALL’INFERNO

Categorie: 2010 - 2014 - 2018
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ORFEO  ALL’ INFERNO
Opera buffa in due atti  di Jacques Offenbach

Il 21 ottobre 1858 al teatro parigino dei Bouffes-Parisiens fu rappresentata per la prima volta Orphée aux Enfers (Orfeo all’Inferno), opéra-bouffe in due atti di Jacques Offenbach, musicista di origini tedesche, che era giunto nella capitale francese dalla natia Colonia all’età di tredici anni. Virtuoso di violoncello visse dando lezioni, esibendosi in concerti e suonando nelle orchestre, finché negli Anni Cinquanta cominciò a mettere in scena brevi opere in un atto molto briose e accattivanti, che raccolsero plausi e successi in una Francia che, sotto l’impero di Napoleone III, stava vivendo un periodo di prosperità economica e di sfrenato desiderio di divertimenti e spensieratezza, desiderio favorito dalla politica autoritaria del governo.

La prima opera di maggior ampiezza di Offenbach fu proprio Orfeo all’Inferno, che ottenne uno strepitoso successo, tanto che gli interpreti arrivarono esausti alla duecentesima replica. Questa opéra-bouffe non era una smitizzazione della storia mitologica del poeta-musicista Orfeo, ma una satira graffiante e scatenata della società dell’epoca. Secondo il mito greco Orfeo implora gli dei di poter scendere all’Ade (gli Inferi pagani) per riportare sulla terra l’amata sposa Euridice; Giove acconsente, ma durante il ritorno sulla terra egli non dovrà voltarsi indietro, pena la perdita della sposa. Orfeo non resiste, si volta ed Euridice sprofonda nell’Ade per l’eternità.

Nell’opera di Offenbach la storia subisce un’ironica metamorfosi: Orfeo è ben felice di essersi disfatto di Euridice, che lo tradisce con un altro (cioè Plutone, il dio che regna sull’Ade, che è salito sulla terra in incognito e si fa chiamare Euristeo), mentre lui corteggia le allieve e non ha alcuna intenzione di chiedere a Giove di riaverla. La Pubblica Opinione però, che già regnava  sovrana sulla società di allora, lo obbliga a seguirlo sull’Olimpo per implorare Giove, che ha già grattacapi con gli altri dei, i quali si ribellano alla sua autorità. La ribellione ha tuttavia breve durata, perché quando Giove li invita a visitare con lui l’Inferno (ove concede a Orfeo di scendere per recuperare Euridice) essi accettano ben felici, desiderosi di andarsi a divertire. Sceso all’Inferno Giove si innamora di Euridice e fa di tutto per portarsela sull’Olimpo, ma è trattenuto dall’arrivo di Orfeo accompagnato dalla Pubblica Opinione. Affinché il musicista non possa ricondurre con sé la sposa, Giove gli dà un calcio e lo obbliga a voltarsi, così essa ritornerà libera dal legame matrimoniale; poi la trasforma in una baccante, che potrà dedicarsi alla gioia più sfrenata, ai divertimenti e al ballo. L’opera termina con un canto a ritmo di cancan, cui rispondono tutti gli dei: “O Bacco, col tuo liquore ci scende nel cuore un fervente ardore, che a te ci innalza, o dio del vino!”

La satira di Offenbach tramuta Giove, impenitente amante di dee e donne mortali, con gran dispetto di Giunone, nell’imperatore Napoleone III, anch’egli impenitente “tombeur de femmes” con gran dispetto dell’imperatrice Eugenia; gli dei rappresentano la società dell’epoca, nobili e borghesi, che pur di divertirsi non perseguono alcun ideale (nel 1858 è solo un ricordo la rivolta del 1848 che aveva cacciato il re Luigi Filippo e aveva dato vita a una repubblica effimera, soffocata dal colpo di stato di Luigi Napoleone, nominato imperatore); la Pubblica Opinione ha un potere molto forte e porta ipocritamente a soffocare gli scandali per salvare le apparenze; la trasformazione finale di Euridice in baccante non è altro che la constatazione che all’epoca molte donne diventavano le mantenute di borghesi o nobili, purché ricchi e potenti. Orfeo all’Inferno termina col simbolo della sfrenatezza, cioè con la danza che trionfava nelle numerose sale da ballo parigine, il cancan (detto anche galop), cui Offenbach aveva fatto già ricorso nelle opere precedenti, quasi una corsa infernale verso l’abisso, quell’abisso in cui precipiterà la Francia quando nel 1870 sarà sconfitta a Sedan dalla Germania e all’impero succederà una nuova repubblica.

L’allestimento che andrà in scena al teatro de Andrè sarà in italiano, in una nuovissima traduzione eseguita appositamente; i dialoghi in prosa sono stati rielaborati, accorciati e attualizzati.

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